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Mi sono sempre dispiaciuta molto per i caduti. I caduti in guerra, i caduti in battaglia, i caduti a terra. Mi colpiscono le immagini dei soldati in trincea, le trincee di una volta, quando si combatteva in prima linea, corpo a corpo, senza rifugi mobili inespugnabili; quando si correva in ritirata sotto una fitta pioggia di proiettili e solo la casualità decideva chi moriva e chi no. Alcuni “cadevano” durante la corsa, colpiti, altri continuavano a correre… sapendo che sarebbbe potuto toccare anche a loro, di cadere, rimanendo a faccia in giù in quel campo, nel fango. Per sempre.

L’inesorabile fatalità. Un pensiero che mi ruba almeno novecento secondi a settimana, cinque minuti ogni tre giorni. Mi fermo e rifletto sul caso, se di caso si tratta, e di quanto sia ingiusto. Mi capita in bagno: i capelli. “I caduti in doccia”: certi ti rimangono in mano, pieni di shampoo, altri nella spazzola, altri ancora hanno l’incredibile fortuna di finire nello scarico, a fare da materiale ostruente e marcire sulle pareti di un tubo. E’ quasi triste, a tratti tragico. Mi succede anche a pranzo, quando peso la pasta, o a colazione, quando verso i cereali nella tazza e alcuni escono, rotolano sul tavolo, poi per terra. Di solito li raccolgo e li mangio, ma può capitare che non li veda e li pesti per sbaglio. Allora la loro corsa termina sotto la mia scarpa: “i caduti per terra”. Ma ogni singolo fiocco di mais ha fatto una strada interminabile per arrivare nella mia cucina! E doveva essere immerso nel latte o nello yogurt, masticato e digerito. Un’avventura fantastica, per cui si preparava da mesi parlandone con i propri amici fiocchi, compagni di sorte, chiusi con lui in una scatola di cartone. E invece magari capita che qualcuno venga frantumato sul pavimento di gres, freddo e spietato, raccolto con una scopa assieme alla polvere e gettato nell’immondizia. Un vero peccato penso io. Prendiamo poi le formiche: camminano in fila indiana, lavorano come pazze e hanno formicai più densi di Sesto San Giovanni. Tu passi, di fretta, ti sistemi la borsa , cerchi il telefono, controlli l’ora… e chi ci guarda per terra. Ne pesti una, due tre, che differenza fa. Le altre centoventisette continuano a lavorare. “I caduti in fila”. E ne hai prese tre, a caso.

Anche io mi sento piccola parte in un sistema caotico e denso. Siamo tanti corpi ammassati su un autobus, in metro, per strada, a un concerto, in piazza. Infilati in appartamenti impilati l’uno sull’altro in palazzi alti, altissimi, che se crollano è finita, come gli studentati, come i grattacieli. Siamo tante auto in fila che sfrecciano ai centotrenta senza distanza di sicurezza, inchioda una, saltano tutte. Ti tirano un sasso dal cavalcavia e cadi, come il soldato, uno su tanti, uno che passa.

Un po’ come nella scatola di cioccolatini di Forrest Gump (un mancato caduto in Vietnam): non sai mai che cioccolatino ti capiterà… e nemmeno se verrai scelto tu, cioccolatino, per caso, da una confezione di sedici. “I caduti mangiati”.

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