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Sul ripiano accanto allo specchio, in bagno, ho diversi flaconi uno dietro-sotto-accanto all’altro. Non sono divisi per colore né per contenuti. Il caso vuole che il primo della fila sia uno struccante per occhi che uso tutte le sere. E in tutte queste sere c’è un istante preciso in cui dopo aver imbevuto di liquido il dischetto di cotone, lo poso sulla palpebra destra e un dubbio atroce mi echeggia nel cervello come un coro di sirene impazzite: “E se invece fosse acetone per unghie?!” Mi bastano quei due secondi di tempo necessari per capire che non c’è nulla che bruci inverosimilmente nel mio occhio, per immaginarmi tutti gli scenari conseguenti: la mia cecità, lo sfregio dove una volta c’era un bulbo oculare e la mia vecchiaia su una sedia a dondolo con una benda da pirata. Molto triste, oltretutto un incidente incredibilmente stupido. Sono certa potrei tentare di camuffarlo da violenza domestica: è stato mio marito. Non avendo un marito mi sembra anche un’ottima scusa, nessuno verrebbe perseguito penalmente. E io avrei vitto e alloggio pagati in un qualche istituto per malati di mente. Possibilmente in Svizzera. O forse più verosimilmente finirei in una casa della carità nella bassa emiliana e morirei alla ventesima Ave Maria del rosario del terzo giorno di reclusione.

I gesti più naturali (soprattutto domestici, come le statistiche insegnano) causano gli incidenti più gravi nella vita, si sa, come riempire un pentolone d’acqua bollente e travasarla in dieci bottigliette di plastica da mezzo litro, scrivere sul proprio pc nella vasca da bagno, infilare le dita nella presa elettrica o buttarsi dalla finestra… E’ pericoloso, ci vuole molta attenzione.

Ci vuole accortezza anche a far la spesa. Sabato mattina, Conad: ora di punta. Basta un attimo e il carrello ti scappa di mano e travolgi il bambino davanti alla cassa (solitamente quello che piange incessantemente da venti minuti); un momento di distrazione e la zucca da tre chili che hai appena infilato nel sacchetto di plastica mediante l’apposito guanto-che non ti si staccherà mai dalla mano quando tenterai di gettarlo- scivolerà con un tonfo sordo sul mocassino del signore abbronzato ed ignorantemente maleducato che poco prima ti aveva urtato facendoti scomparire fra gli spinaci. Ad alto rischio sono anche le vecchine con il carrellino in tessuto: è facile che si infilino a tradimento fra le pesanti porte del freezer prima che tu le richiuda, generando così uno scambio spazio-temporale fra l’universo della naftalina e quello dei sofficini Findus.

Molto pericolosa infine, la fila al banco: basta un ritardo nel rispondere alla chiamata del proprio numero e potrebbe generarsi un caos pari a quello della borsa di Milano nell’ora di punta. E’ sufficiente che la signora due numeri avanti al tuo si sia soffermata troppo a lungo ad osservare l’incarto dei tomini, assorta; o che il padre dei due gemelli nella doppia carrozzina accanto a te venga distratto dal peluche che nel frattempo è diventato arma contundente e rimbalza all’impazzata da un gemello all’altro colpendo occhi e facendo saltare ciucci… L’inserviente si guarda attorno, e sotto gli sguardi attenti e bramosi di tutti e ventisette i clienti in attesa davanti alla vetrina, con un gesto che parrebbe a rallentatore, schiaccia il tasto della numerazione:

“Ottantaquattro!”

“Io!!!!” strilla la signora cotonatissima già protesa (sdraiata) sul banco con il numero in mano (incastrato fra indice e anulare, nell’estremo più estremo dell’estremità più estremizzante del suo corpo).

“Ah, mi scusi, io ero l’ottantatre…” si intromette il padre gemellare con costernazione (e un pupazzo sotto all’ascella).

I problemi principali di questa situazione sono due: l’effetto a catena che si ripercuote su tutti i clienti, uno dopo l’altro, che vengono serviti dagli altri commessi ignari della numerazione sfalsata, ed il fatto che mi sono dimenticata della signora che stava osservando i tomini… ora di turni ne ha persi cinque e i tomini nel frattempo sono finiti.

Con tutti questi pericoli in agguato, ho come il presentimento che il mondo sarebbe migliore e noi tutti meno stressati se il flacone dello struccante fosse un po’ meno simile a quello dell’acetone.

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