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Dev’essere dura per le generazioni dell’usa e getta rendersi conto che il periodo d’oro della tutela di tutto e di tutti a ogni costo non può durare per sempre; che il lavoro si crea ma magari a volte scarseggia; che la tua quattordicesima magari non è poi la cosa più scontata del mondo, e mentre tu ti lamenti perché hai un giorno di ferie in meno io devo aprire la partita iva perché altrimenti non lavoro (la tredicesima cosa sarebbe?). Dev’essere dura per noi figli degli anni ottanta concepire che non ci è tutto dovuto come ci avevano fatto credere negli anni novanta, alle elementari come su Canale Cinque. Eppure dovrebbe essere più dura per la generazione dei nostri genitori, che “si sono costruiti da soli” e ora devono accettare il fallimento di un sistema a esaurimento, probabilmente anche nervoso. “Noi siamo giovani”, potremmo forse tentare di comprendere, sforzarci di immaginare qualcosa di diverso da ciò che è stato fin’ora. Un fin’ora relativo oltretutto, se penso alle vite dei nostri nonni, intrecciate con i fili delle Guerre Mondiali. Tanti auguri alla Cina e all’Asia, che ci sorpassano in sprint finale nell’ultimo giro di pista. Tanti auguri per ciò che troveranno al traguardo: probabilmente un baratro colossale, ma speriamo solo un cartello che ci invita a ritornare da dove siamo venuti.

Io francamente non mi indigno e non mi stupisco del collasso di questa architettura mal progettata, fatta di mero consumo, iniziata con lingotti al posto dei mattoni, terminata con stuzzicadenti come pilastri. E non mi indigno nemmeno che ci sia qualcuno che prova a invertire la rotta, che dice cose che non vogliamo sentire o fa riforme toccando articoli fin’ora intoccabili. Siamo solo capaci di criticare e schermarci dietro l’ipocrisia ideologica per difendere i nostri interessi di lavoratori o datori di lavoro.  Ci sono due modi di fare le cose:  illegalemente o legalmente. Oggi scopriamo che legalità vuol dire anche sacrificio, un concetto nuovo ai più e difficile da sostenere data la povertà in cui navighiamo ora che la botte è vuota e la moglie beve molto. Abbiamo altre soluzioni?

Sarebbe bello potere essere lavoratori, piuttosto che dichiarare guerra a chi tenta di agevolarci nel trovare un impiego regolare mentre mandiamo curriculum da casa (non nostra, dei nostri genitori).
Personalmente ho avuto pochi contratti “reali” in vita mia e mi sento di dire che preferirei avere i soldi per pagarmi l’affitto piuttosto che quelli per fare i regali di Natale. E preferirei vedere i frutti della riforma invece di dipingere scenari disastrosi solo immaginando un cambiamento a ciò che abbiamo sempre dato per scontato.

Allego parole altrui, sicuramente più efficaci delle mie: Cosa dice esattamente #Fornero” di Simone Spetia

7 thoughts on “I tempi d’oro quando l’oro è finito

  1. beh, è dall’ottocento che la sinistra dice che il lavoro è un diritto. dopo anni di guerre dove sono stati mandati al macello migliaia/milioni (se consideriamo che le guerre sono state mondiali) di lavoratori degli strati più umili della società e alla fine della dittatura fascista, la sinistra italiana è riuscita a inserire questo concetto nell’art. 1 e 4 della Costituzione (art. 4: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto). Ora, dopo decenni di lotte in cui i nostri genitori/nonni invece che guardare Amici in Tv si sono fatti il mazzo (e qualcuno ci ha pure rimesso le penne) per conquistare qualche diritto (tipo non essere licenziati quando non vai a genio al padrone), arriva questa prof. Fornero che dice che il lavoro non è un diritto. Certo, se leggi i libri di economia delle università italiane (quelli dove ho studiato io), in cui vige il pensiero unico liberista, forse ha ragione. Ma per me la Costituzione vale un po’ di più di un libro di micro/macro economia. E un ministro dovrebbe tenere presente innanzi tutto la Costituzione. Altrimenti tornasse a fare la professoressa. E magari pure a ripassare la matematica per contare gli esodati.

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    • “se non stai a genio al padrone”. Menno il mondo purtroppo o per fortuna è in continua evoluzione e con lui il mercato e il sistema lavorativo. Possiamo discutere sul capitalismo e sull’attuale sistema economico, che è quello che ho accennato all’inizio (e che fa Massimo qui sotto), ma la semplice verità, in questo momento, è che siamo immersi in scenari ben diversi da quelli che potevano rappresentare il rapporto operaio-padrone a cui fai riferimento tu e non possiamo permetterci di continuare a fare i conti con mezzi e mentalità obsoleti. La riforma andava fatta, e non per togliere a chi ha per il gusto della meschinità, come dicevamo anche qualche mese fa, ma per stare al passo con la realtà e tentare di risolvere anche tutte quelle posizioni lavorative non chiare, illecite e svilenti. Mi sembra ci si ricordi sempre solo la parte dei diritti e mai quella dei doveri. e lo dice una che in piazza c’è sempre andata.

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  2. Io mi sono innamorato della parola downsizing. Non nell’accezione negativa del “ridimensionamento aziendale”, ma in un ottica di ridimensionamento dei bisogni personali. Anzi, in un’ottica di INDIVIDUAZIONE dei bisogni personali. “Di cosa ho bisogno?” “Perchè?” “è reale il bisogno che sento o è indotto? Indotto da cosa?”.
    Non sto parlando dei bisogni primari, è ovvio che tutto il discorso si basa sulla condizione necessaria che questi siano soddisfatti. Ma dopo cinquant’anni di consumismo matto e disperatissimo il confine tra ciò che è un bisogno e cioè che non lo è, è diventato estremamente sottile. Guardiamoci intorno e nelle tasche e chiediamoci “è davvero NECESSARIO?”. Perchè abbiamo 30 t-shirt, 15 camicie, 10 paia di scarpe, 160mila jeans. Mio nonno aveva un paio di ognuna di queste cose eppure ha vissuto una vita ugualmente appagante. Non c’è bisogno di andare “a piedi nudi sulla terra”, c’è bisogno di andare sulla terra un paio di scarpe alla volta. Nascondersi dietro alla Crisi è troppo facile. Per ogni persona che è realmente in condizioni economiche difficili, ce ne sono almeno dieci che vanno in rosso in banca per pagare rate sky e abbonamento iphone. Un amico bancario ha “costretto” un cliente a fare colazione a casa e non al bar e improvvisamente lui si è trovato con 100 euro in più in banca ogni mese, e non era un caso, ma uno dei tanti, tantissimi esempi che non vogliamo raccontare per non ammettere la povertà, culturale questa volta, del nostro modo di vivere.
    E questo discorso va a quelli come lui. Cosa ci rende davvero felici? Fare colazione al bar? Sky? L’iphone? L’estetista ogni settimana? Il parrucchiere? La macchina nuova? Se la risposta è “Si” i nostri problemi sono ben più grandi, e non è comprando altre cose che li risolveremo. Non c’è niente di più miserabile di una vita vissuta nell’amarezza dell’insoddisfazione.
    Una delle cose che mi pare straordinaria erano gli attrezzi da meccanico di mio nonno. Erano quelli da cinquant’anni, e molti di essi erano “modificati”: un manico in più, un rivestimento diverso.. La filosofia del “Do it yourself” era lì davanti a me. Le cose erano quelle, non venivano sostituite pochi anni dopo. La bicicletta, i vestiti, la macchina, la casa… mia nonna. Poche cose solide, mai in plastica per esempio. C’è bisogno di parlare dell’obsolescenza pianificata? Cominciamo a combatterla. Facciamo l’esercizio, magari addolcito, del “vivere con 100 cose” alla Dave Bruno, e scegliamo 100 cose solide, che magari possiamo aggiustare. Internet ci ha dato una conoscenza superficiale praticamente su qualsiasi argomento.
    Nella casa dove vivo ora mancano le zanzariere, cercando su Google “costruirsi le zanzariere” il primo risultato è questo: http://www.deabyday.tv/casa-e-fai-da-te/video/211/Fai-da-te–Come-costruire-da-soli-una-zanzariera.html Una spiegazione precisa di come fare. Eccolo il DIY depurato dalla filosofia punk radical chic. E poi se siamo tra i fortunati che gli rimane anche qualcosa in tasca, investiamolo in ciò che ci rende DAVVERO felici, oppure teniamolo semplicemente sotto il materasso.

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    • “Le cose erano quelle, non venivano sostituite pochi anni dopo. La bicicletta, i vestiti, la macchina, la casa… mia nonna.” 🙂 Bravo Max, mi piace. E infatti credo prima o poi il cambiamento sarà necessario. Forse saremo obbligati, forse ci arriveremo da soli… lo credo, ci spero. I cicli storici sono sempre esistiti no? Speriamo solo non sia un’altra era glaciale a porre la parola FINE.

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  3. Sono per la lotta al consumismo ma non per le manovre politiche attuali (mondiali, non solo italiane) che tra l’altro non mi pare combattano il consumismo ma i cosiddetti “privilegi”/ troppi diritti. Mi viene in mente un passaggio di Georges Bernanos de “la Francia contro i robot”. Traduco qui solo la fine (anche se andrebbe letto dall’inizio come ogni pensiero filosofico) perché penso meriti almeno d’esser letto :”i privilegi ci fanno paura perché ce ne sono di più o meno preziosi. Ma l’uomo di una volta li avrebbe volentieri paragonati ai vestiti che ci proteggono dal freddo.Ogni privilegio era una protezione contro lo Stato. Un vestito può essere più o meno elegante, più o meno caldo, ma è pur sempre preferibile esser vestiti di stracci che andarsene in giro nudi. Il cittadino moderno, allorquando tutti i suoi privilegi saranno stati confiscati fino all’ultimo, compreso quello più basso, più volgare, meno utile di tutti, quello del denaro, se ne andrà nudo davanti ai suoi padroni”.

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    • Lo Stato sempre inteso come entità superiore che esercita il proprio potere per fregare il cittadino? o lo Stato siamo noi? I soldi ci vengono rubati con le tasse o piuttosto dovrebbe essere un modo per contribuire insieme alla costruzione della “cosa comune”? Ho sperato a lungo che questo governo potesse servire da propulsione verso una concezione di Stato più “Europea”, che non dovrebbe significare necessariamente liberale, ma potrebbe ad esempio ispirarsi al modello scandinavo che ha una base essenzialmente socialista, in cui tutto ciò che dai ti torna davvero indietro in servizi e agevolazioni. Non credo che il nostro governo possa cambiare il sistema capitalistico globale, se questa è la strada su cui vogliamo andare lo faremo insieme agli altri paesi. Per il momento sinceramente penso possa essere il caso di provare a migliorare un sistema molto rigido che tutela chi raggiunge l’agognato posto fisso e lascia in braghe di tela tutti gli altri. Le modifiche all’articolo 18 sono solo una piccola parte della riforma e fa parte di una strategia che dovrebbe agevolare tutto il mondo lavorativo, non solo chi ha un tempo indeterminato.
      L’obiettivo dovrebbe essere creare un mondo in cui pagare le tasse conviene a tutti e a tutti interessano gli interessi di tutti nel rispetto delle libertà individuali (sia diritti che doveri) e della collettività. Utopia? Mi dispiace.

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  4. ..e LoScafandro scende finalmente in campo!!!
    Volevo solo introdurre un tema di discussione.
    E’ vero, nella nostra Costituzione il concetto di diritto al lavoro è inserito tra i principi non modificabili, all’art. 4; ma la dicitura è complessa: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.”
    Il punto non è quindi che la Repubblica ha il dovere di dare a tutti un lavoro, di “garantire” un lavoro per tutti: qui si enuncia un ideale di straordinario respiro, la Repubblica, ovvero la società organizzata politicamente, deve fare ogni sforzo affinchè sia possibile creare lavoro per tutti, e se questo non avviene, diviene una responsabilità precisa che la guida politica della nazione deve assumersi. Qui il diritto non implica un intervento in prima persona, come per la giustizia, è un ideale a cui tendere, secondo un principio richiamato anche all’art. 3:
    “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
    Il lavoro è uno strumento per concretizzare il diritto al proprio sviluppo individuale, alla propria emancipazione, e alla partecipazione alla vita comune, e in questo senso, è esso stesso un diritto. Un diritto, però, rispetto al quale la Repubblica deve agire soprattutto affinchè se ne diano realizzino le giuste condizioni, mentre è compito del singolo cittadino renderlo effettivo: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”

    Qui lavoro e progresso si intrecciano in una dimensione ideologica che prescinde dal mero dato salariale, e che ci proietta verso una verità più ampia: ogni progresso richiede lavoro, sacrificio e impegno, da parte di tutti; e se un paese non progredisce, non si può dare solo la colpa ai politici, la responsabiliità va condivisa fra tutti.

    Temo che questo discorso così complesso e preciso sia stato completamente abbandonato nella cultura odierna del lavoro, che punta esclusivamente a far salve delle condizioni retributive decenti. Come la penso io: il lavoro è un diritto, nella misura in cui chiama le istituzioni a esplorare ogni tentativo per renderlo effettivo – il che non capita più da decenni – e giustamente dobbiamo infuriarci se la dirigenza del paese non fa abbastanza; ma ognuno di suo ha il dovere di fare con quello che c’è, con quel poco che lo sforzo collettivo riesce a mettere a disposizione di tutti, senza mai rinunciare, anche dentro a quel poco, ad avere la tensione giusta verso il progresso di se stessi e di tutti; perchè se manca da parte dei cittadini questa tensione, anche nelle cose piccole o in apparenza marginali, non c’è governo giusto che possa risolvere la situazione, non c’è politica che possa funzionare.

    Quando la Fornero dice che il lavoro non è un diritto, credo voglia dire in realtà che non è un diritto “garantito”; ha ragione, il progresso, fondato sul lavoro, è un “diritto” che ognuno di noi è chiamato a rendere effettivo, e solo nella misura in cui ognuno fa la propria parte in base alle proprie possibilità, può allora “pretenderlo”.

    A loro il compito di darci gli strumenti per farlo.

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