Tra un venticinque Aprile e un primo Maggio, iniziano le vere feste bucoliche. Quelle organizzate nei parchi, nei campi, nei prati, nelle aiuole e nei cortili. I pic-nic, le merende, le colazioni sull’erba. Un lenzuolo diventa tovaglia, la tovaglia si trasforma in tappeto. Ci si siede a gambe incrociate, ci si sdraia; si mangia, si sorseggia, si legge, si scrive, si chiacchiera, si canta, si dorme. Giornate allungate, come le ombre della sera, che inizia sempre più tardi e ci lascia più tempo da trascorrere al sole.
Una domenica distesa fra le feste, con i piedi in un mese e la testa in un altro: il giorno ideale per la gita fuori porta. Si esce, si parte. In macchina, in vespa, a piedi, in bicicletta: un cestino, una coperta, un panino. E’ così semplice: si va e chissà quando si torna, anche la sera, anche di notte, le gote calde alla luce del giorno, le mani fredde al tramonto.
E’ tempo di concerti in piazza e tardi aperitivi in strada, di serate in collina o al mare, alla ricerca di scorci romantici, cieli stellati o suggestivi vicoli del centro. Laddove manca la spiaggia, o la montagna; basta il giardino. Dove manca il giardino basta il balcone, la panchina, il parco sotto casa. Prepariamo il cesto: bicchieri, piattini, posate… due bocconi semplici, una torta, un assaggio, un po’ di vino, una birra, un succo di frutta. L’importante è l’asporto. Un gioco per uscire, un gioco tanto per e anche tanto per cambiare.
Portiamo la domenica a farsi un giro, tutta intera, solo il pomeriggio o perché no, solo la sera. Asportiamo la cena, asportiamo il dessert, portiamolo in gita a farsi assaggiare da altri luoghi; portiamolo via e mangiamolo altrove. Un altrove distante, vicino, noioso, divertente. L’importante è uscire: niente case, niente cinema, nessun tetto sulla testa.
L’altrove ci porta via dalla routine, ci regala novità; è gentile, ci accoglie sempre, ci aspetta fuori dalla porta. Basta un cenno, basta uscire. “Ciao io esco, mangio fuori”. Anche oggi, anche stasera.