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Diciamolo, forse è un bene che le auto inquinino, ci ricordano problematiche importanti.

Qualche pomeriggio fa, a Milano, mi sono ritrovata ad attraversare un sottopassaggio a due carreggiate, quattro corsie… a piedi. L’ho percorso per la sua lunghezza, nell’apposito passaggio pedonale protetto dai blocchi di cemento: ci ho impiegato dieci minuti, dieci minuti di traffico costante, rumoroso e puzzolente.

Mi sono chiesta se il problema fosse solo lo smog che respiravo. Osservando i camion che mi sfrecciavano a un metro di distanza e gli specchietti delle auto che mi sfioravano il gomito, la risposta spontanea è stata che no, non era solo quello.

La situazione sgradevole nasceva dal fatto che non aveva nessun senso per me, in quel momento, dover per forza passare attraverso un viadotto ad alta percorrenza per poter raggiungere un pezzo di città tagliato fuori dalla linea dei binari. L’intero quartiere era progettato a misura d’auto e i lavori in corso non aiutavano a migliorare la situazione.

Viviamo in un’epoca in cui cominciamo ad essere abbastanza sensibili al tema dell’aria pulita. Sempre più cerchiamo di limitare le emissioni di CO2, vogliamo che le auto consumino poco, le preferiamo a metano o a GPL (per questioni etiche o per gli ormai eccessivi costi della benzina?). Questo ci ha permesso di demonizzare sufficientemente l’automobile per incentivare l’uso di mezzi differenti come la bicicletta e i trasporti pubblici.

La domanda è conseguente e sorge naturale: se le auto non inquinassero, se davvero fosse possibile realizzare motori diversi (penso a quelli ad aria compressa già sperimentati in Francia *vedi video), motori per “auto pulite”… data la nota pigrizia del genere umano e la sua poca lungimiranza per il bene della collettività, come progetteremmo le nostre città?

I problemi delle automobili, dei camioncini, dei camion veri e propri, oltre all’inquinamento, sono anche altri. Sono l’ingombro, la massa; le dimensioni fuori scala-urbana dei suv e l’alienazione dell’autista al volante. Specialmente nelle città medio piccole, ci siamo abituati a raggiungere ogni luogo parcheggiandoci davanti, le strade dominano il territorio e vengono pensate per il traffico dei mezzi prima che per lo spostamento “dell’umanità”. Ognuno con il suo veicolo, una distesa di scatole di acciaio compare ogni giorno davanti alle scuole, ci si pesta i piedi e le gomme per riuscire a infilare i figli nell’abitacolo con un salto volante dal portone d’uscita degli asili, delle elementari. Siamo tutti in fila, in coda, nelle nostre piccole grandi scatolette; in circonvallazione come nel parcheggio del centro commerciale, la mattina come il pomeriggio. In molti, tanti, viviamo in insediamenti lontani da tutto, da cui usciamo solo in macchina, aprendo e chiudendo cancelli automatici.

Credo e ho sempre creduto nella città a misura d’uomo, in cui l’auto non è e non deve essere necessaria, e oggi penso che così dovrebbe essere anche per la periferia, appendice del centro, ormai inglobata nel tessuto del costruito, grazie all’espansione casuale dagli anni cinquanta ad oggi. Ci riempiamo bocca e orecchie dei problemi dell’ambiente e dei consumi ma dovremmo forse stare attenti agli interessi economici di cui ormai siamo schiavi in ogni campo, agli ipocriti sempre in agguato fra coloro hanno gli strumenti per indirizzarci.

Benzina, non benzina, metano, olio di colza (?)… sicuramente fanno la differenza ma non perdiamo di vista l’obiettivo: città sostenibili e soprattutto vivibili. E camminando in quel viadotto pensavo, che infondo, se un camion mi fosse venuto addosso in quel preciso momento, mi avesse travolto in quello stretto passaggio, schiacciandomi fra l’asfalto e il cemento… quale sostanza espellesse dal tubo di scarico, non avrebbe avuto poi tanta importanza.

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