Siamo attoniti e impotenti spettatori di una tragedia assurda, quella di una nave riversa sugli scogli che lentamente cola a picco, troppo pesante per essere sollevata. Come una bottiglia piena d’acqua che, centimetro dopo centimetro, affonda in una vasca da bagno.
La bottiglia va a fondo tirandosi dietro tutto, impietosamente; portandosi via le sdraio sul ponte, i vassoi del self service, i giornali sui tavolini, le valigie… e le anime intrappolate in cabina.
Una riflessione breve, probabilmente sterile ma spontanea e sofferta, perché non riesco a fare a meno di pensare che in fondo siamo come piccole formiche, operose e minuscole. Agli occhi della Natura forse insignificanti.
Forse. E sempre forse, ogni tanto, faremmo bene a ricordarcelo: quando ci sentiamo invincibili, quando sfruttiamo ogni risorsa come se non ci fosse un domani, quando occupiamo la terra e il mare, li violentiamo, ne usufruiamo come se ne fossimo realmente padroni. Per poi finire, appunto, in ginocchio, disperati e sorpresi, incastrati fra gli scogli, come topi in gabbia.
E’ passata una settimana e sembra un mese. la Concordia oggi mi ricorda l’Aquila, avvolta in un silenzio atroce di morte già dimenticata. La morte degli assenti, che niente ha a che vedere con le telefonate, le accuse, il gossip. Ora è solo silenzio. Gelido, sospeso a mezz’acqua.
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