Disagi. parte seconda.
Un altro tipo di malessere è quello legato principalmente alla coscienza. Quando sentiamo il rimorso, la vergogna che affiora, nell’immedesimarci in ciò che vediamo e non ci piace; quando ci rendiamo conto che c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel sistema e che è colpa anche nostra, facendone noi parte.
Mi sento a disagio quando sono in macchina e guido nel traffico dimenticandomi chi sono e dove sto andando, irritandomi per ogni autista col cappello che mi ostruisce il passaggio, per ogni signorino lento a rimettere la prima quando si riparte all’incrocio, per ogni tamarro con la musica sbagliata che esce a tutto volume dai suoi finestrini abbassati, per i suoi capelli ingellati… Mi sento a disagio quando mi rendo conto che l’isterismo collettivo dettato dal traffico ci rende mostri al volante.
Mi capita spesso di immaginare le auto, i camion, come robot: terrificanti esseri metallici dalla personalità propria, lontanissimi dall’umanità ma tuttavia contenenti, da qualche parte al loro interno, un essere vivente che li manovra. Esattamente come Jeeg robot d’acciaio, come Mazinga Z, come i Power Rangers: migliaia di omuncoli chiusi in queste gabbie di piombo, sproporzionate rispetto alle dimensioni e alle velocità del pedone, del ciclista. Abbiamo costruito le strade perché fossero collegamenti, perché l’uomo potesse girare liberamente senza attraversare campi coltivati e stagni; le abbiamo costruite a caso, dalle dimensioni variabili, per i carri, per il traffico di poche auto, come era inizialmente in campagna. Ora rimangono gli stessi percorsi e le auto sono decuplicate. Nemmeno i nuovi tracciati sono dimensionati intelligentemente: vengono pensati per gli Hammer, non per i cittadini. Un uomo cos’è? La sua auto o il proprio corpo? Prima disegniamo l’asfalto poi, se c’è tempo, se ci sono i soldi, le ciclabili e i marciapiedi. Anzi, il marciapiede che E’ la ciclabile. A piedi e in bici nella stessa corsia, per creare più dinamiche e relazioni sociali: così il pedone ce l’ha col ciclista, il ciclista col pedone e il suo cane. Vallo a dire ai belgi, vallo a dire agli austriaci.
Sfrecciare in auto e puntare i pedoni per poi schivarli e sgasargli in faccia: uno sport nazionale. E’ doloroso guardare un poveretto che tenta di attraversare la strada ma nessuno si ferma e chi si ferma gli fa fretta perché è lento.
Girare a piedi in periferia è denigrante, umiliante. O forse più umiliante per chi, guidando, vede gli altri, fuori dalla gabbia, umiliati. E allora mi vergogno, io, per me, per tutti: per il pedone che sale nel suo robot e con un giro di chiave diventa Mazinga, pronto a ripartire e a tramandare le buone abitudini della strada asfaltata, fatta per asfaltare.
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