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Interno notte, occhi chiusi, ripenso agli ultimi giorni: “nel nome dello Stato Italiano, con i poteri conferitimi dalla legge, la dichiaro Cavaliere dell’ordine di Odino…” suoni elettronici, il display s’illumina: “Vodafone Ricaricami sarà rinnovata al costo di 2.0 Euro. Per disattivare chiami il 42071”. Per fortuna che c’è la Vodafone a ricordarsi di me a mezzanotteezerodue. Fine del sogno, ritorno a questa coperta infeltrita che scalda anche troppo. Il cambio d’ora mi ha sconvolto gli equilibri stagionali, sono quasi certa sia estate.

Laurearsi è divertente, sono rimasti questi retaggi arcaici e strutturati del tempo che fu, per cui quando ti “proclamano” (già qui, un verbo, un perché) sembra ti stiano incoronando Principe o Baronetto. O Paul McCartney. Non mi sarebbero dispiaciuti una spada e il tappeto rosso. L’ermellino c’era, pendeva morto dalla spalla di quel poveretto proclamato dopo di me. A causa dello stesso penso sia stato impalato su una qualche staccionata dai suoi cari amici goliardi, subito dopo essere uscito dal portone della facoltà. Sembrava felice di andare al patibolo.

Forse era solo contento di uscire dal manicomio pieno di parenti e professori frustrati. E posso capirlo, nonostante da quando il regolamento “dell’Ordine” è cambiato non ci siano più zie che ti inseguono con fette di salame e nonne che tracannano vino dalla bottiglia e lo distribuiscono equamente su tavoli e sedie. “Quando ero giovane io”, le lauree (altrui) erano eventi mondani e una grande occasione per mangiare gratis. Ci si vestiva bene e ci si infiltrava fra i banchetti più succulenti allestiti sulle scale della facoltà. Decine di prozie in vestiti aderenti ghepardati si prodigavano in una gran profusione di attenzioni e panzanelle, caponate e bignè a chiunque passasse nei paraggi. Essere eleganti era importante, ma ancora di più lo era il sorriso ingenuo di chi è ancora lungo il percorso e necessita di aiuti dalla famiglia (anche di altri, che importa): e allora via di Greco di Tufo e tartine, che male non ti fanno e poi sei ancora piccolo ma prima o poi ci arriverai anche tu alla laurea, intanto mangia che devi crescere.

Oggi tutto questo non è più possibile. Si narra che cugini ubriachi siano stati sorpresi a liberare i loro stomaci nei corridoi illustri delle aule informatiche, e a causa di ciò qualsiasi festeggiamento sia stato sospeso e impedito all’interno delle mura universitarie. Gli striscioni, le foto imbarazzanti, i cori: tutti fuori! Più precisamente appresso ai muri della casa di fronte, quella del vecchio laringectomizzato (di fatto…ha un problema, credo. O diversi, a seconda) che gira in canottiera con i peli delle ascelle sempre in vista e il cappello in testa. Ti parla con quelle voci rauche senza tono che nonsicapisceunamazza e tu sorridi ti scusi e scappi. Per poi tornare cinque minuti dopo sperando se ne sia andato. Ma lui di solito è lì in agguato che ti spia da dietro la porta. Ecco, sulle grate delle sue finestre sì che possiamo attaccare di tutto: chilometri di spago e nastro adesivo rimangono ogni tre mesi incollati alle imposte arrugginite per giorni e giorni, senza contare che chiunque si prenda la briga (“…e di certo il gusto”) di attaccare tutti i foglietti svolazzanti sulle sue finestre, di fatto gli guarda in casa, scoprendo mondi nuovi inimmaginabili, odori impensabili e canali televisivi mai esistiti. Nei festeggiamenti, non c’è che dire, rientra anche lui. Forse si sente quasi importante, se ne sta lì, all’ingresso, a spiare ogni singolo invitato che scruta i fotomontaggi appesi ai muri di casa sua, e al momento dei brindisi sorride e si gratta un gomito.

Sì, dai, laurearsi è divertente. E’ maturità nell’esposizione, nei rapporti sociali e socievoli, contemporanei e temporali: temporalmente nuvolo, ma solo temporaneamente. La crisi è passeggera, il lavoro tornerà, il pezzo di carta tornerà di papiro e la carta igienica sarà sempre più morbida. Io un po’ ci credo, perché alla fine voglio essere ottimista: mancava la spada, mancava il tappeto rosso ma c’era molta speranza. L’ho vista, negli occhi del professore che non ha sentito la mia discussione perché era al cellulare, nelle mani tremanti della professoressa che mi ha fatto firmare il registro e mi ha ridato il libretto rimirandosi lo smalto sulle unghie, nel microfono del presidente di commissione con il filo lungo, in cui sono inciampati l’80% dei laureati. L’ho vista e ci credo, Speranza è presente, ci osserva e ci aiuta.

Speranza è presente e le offro da bere.

…Spero solo beva poco.

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